platonico
[pla-tò-ni-co]
In sintesi
spirituale, privo di concretezza, irrealizzabile
← dal lat. platonĭcu(m).
A
agg.
1
Del filosofo greco Platone
|| Relativo a Platone e al suo pensiero: filosofia platonica; sistema p.; scuola platonica
|| Amore platonico, nella filosofia platonica, amore spirituale, non carnale, che eleva alla contemplazione del bello spirituale
2
Di sentimento puramente spirituale, scevro da connotazioni sensuali: desiderio, rapporto p.
3
estens. Inattuabile, lontano dalla realtà: desiderio p.
B
s.m.
(f. -ca)
Seguace della filosofia platonica
Citazioni
“Interlocutori: Danese Cataneo, Paulo Sanminiato, Torquato Tasso. D.C. Voi ancora, signor Torquato, non contento d’avere acquistato in questa giovenile età grandissima lode ne la poesia, avete voluto ne le quistioni filosofiche contendere co’ filosofi medesimi; e per quel ch’io n’intesi dal signor Paulo, molti giorni difendeste publicamente alcune conclusioni: ne la quale azione io estimo ch’esponeste la vostra riputazione a gran pericolo, potendo di leggieri un frate o uno scolare con l’armi dialettiche astringere un poeta a cederli il campo. Se ‘l campo fosse quel de la verità, non malagevolmente il poeta sarebbe vinto dagli aversari; ma nel campo d’amore chi poteva superar un poeta innamorato, e con quali armi, sedendo ivi fra gli altri, quasi giudice, la sua donna medesima, da la quale poteva assai cortesemente riportar la palma ne l’amorose questioni? Il signor Sanminiato ha voluto prevenir la mia risposta, e io son contento che mi vinca di velocità; ma egli a me nel campo d’amore fu non picciolo avversario, ma in quel de la verità poteva esser meco d’accordo: nondimeno facemmo insieme lunga contesa, egli con armi incognite, da le quali io peraventura, come poco esperto, non sapeva ben difendermi, io con quelle che m’erano prestate dal signor Antonio Montecatino, valorosissimo tra i peripatetici e tra i platonici filosofanti: perché sue erano le conclusioni per la maggior parte, e io, da lui ammaestrato, volsi difendere. Ma ebbi brevissimo spazio d’apparecchiarmi a la difesa, e fu da me conceduto lunghissimo a chi voleva oppugnarmi; a’ quali non tenni occulta alcuna de le mie ragioni, ma da loro fui assalito quasi a l’improviso; laonde non sarebbe maraviglia ch’a giudicio de la mia donna medesima io ne riportassi il peggio. Ma io vorrei che le mie ragioni fossero considerate con animo quieto e senza lo strepito e l’applauso di quello quasi teatro di donne e de cavalieri: però, non mi contentando de la viva voce o del parlare, nel quale per l’impedimento de la lingua fui poco favorito da la natura, pensai di scrivere la mia opinione. Voi ne le conclusioni platoniche sete contrario a Platone medesimo, avegnaché Platone nel suo dialogo de la Bellezza, nel quale introduce Fedro con Socrate a ragionare in riva de l’Ilisso, loda la viva voce e biasima l’invenzione e l’inventore de le lettere con ragioni, s’io non sono errato, irrepugnabili. Già io lessi quel che dal Caro, stanco dell’officio suo, fu scritto in questo argomento, nel quale egliessercitò le forze del suo maraviglioso ingegno; ma volentieri intenderei le ragioni di Platone.„Il Cataneo overo de le conclusioni amorose di Torquato Tasso
“T.T. 22 Q Torquato Tasso Il Cataneo overo de le conclusioni amorose Platonici, è il regno de la fortuna; ma il regno del fato è ne’ cerchi celesti e ne’ corpi luminosi del sole e de le stelle: più su regna la providenza ne le cose divine e intelligibili, come parve a’ Platonici, non perché sia ne l’universo alcuna parte non governata da la providenzia, ma perch’ella per loro opinione avrà voluto lasciare qualche parte a la necessità del fato e a l’incostanza de la fortuna: in quella guisa nondimeno che sogliono i pontefici e gli imperatori, i quali concedono i regni e i principati in governo a’ principi minori. Nondimeno è più sicuro l’affirmare che non si mova fronda senza la divina providenzia. P.S. T.T. Lasciamo, se vi pare, le questioni de’ nostri teologi da parte, perché fra noi è contesa academica anzi che no. Come vi pare; ma io posso dire con gli Academici e co’ Platonici che, quantunque fosse il fato, l’anima non è soggetta al fato, o non ogni anima è soggetta: perché l’anime, divenute intellettuali, sono liberate da la soggezione del fato, e s’alcuna ve n’ha che sia legata ne la necessità fatale quasi con nodi adamantini, se ne può discioglier, perch’è operazione degli angeli il discioglierla, come de’ demoni il ligarla. Anzi l’anima per se stessa, sì come colei ch’è creata da Dio, è superiore al fato ne l’ordine de le cose e ha maggior forza; e quantunque s’avolga nel fato, o quando discende nel corpo o quando incappa ne’ lacciuoli de le nostre cupidità, nondimeno, separandosi da le passioni corporee, libera se medesima da la servitù del fato e diviene quasi collega de l’anime celesti. Così rispondo co’ Platonici e co’ Peripatetici; che se fosse alcuna necessità nel fato, vano sarebbe il consigliarsi e il deliberare, vani i giudici, ingiuste le leggi, inique e crudeli le pene proposte a’ malfattori. Ma con Tolomeo medesimo potrei rispondere che le cose procedono da Dio ne’ corpi celesti necessariamente, ma da’ corpi celesti negli inferiori non con egual necessità: perché la materia de le cose inferiori non è capace d’ordine certo e necessario, com’è quella de’ cieli, e ‘l savio secondo il medesimo autore signoreggia a le stelle. Io non voglio tanto affaticarvi in ciascuno argomento che non possiate passare avanti. Era il quarto, se ben mi sovviene, ch’a gli animali nobilissimi si conviene il fare, a gli ignobilissimi il patire, a quelli di mezzo fra l’una e l’altra natura, com’è l’uomo, il fare e il patir per diversi aspetti: il ch’io non niego. Ma quantunque l’uomo sia sottoposto a le passioni, de le quali son causa i corpi celesti, come è lo scaldarsi e ‘l raffredarsi e l’altre sì fatte, nondimeno patisce nel corpo, non patisce ne l’anima: e se patisce ne l’anima mortale, non patisce ne la divina e immortale, la qual non è soggetta al patire, o non patisce da’ corpi celesti ma da l’intelletto agente, il quale co ‘l suo lume può illustrarla: ma questa è passione che fa perfetta l’anima. Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli„Il Cataneo overo de le conclusioni amorose di Torquato Tasso
“Né tante son l’onde del Tirreno, quante le diversità de l’opinioni che si leggono in que’ libri stessi che trattano de le scienze. G.M. In questo mare ci sono molti porti, laonde né l’Egeo né alcuno degli altri è così portuoso: tal che non pare che sia pericolo che la nave, sdrucita per fiera tempesta, percuota in qualche piaggia. Ma in qual vogliamo entrare? in quell’antico di Platone? In quello, per l’antichità, poche navi e pochi peregrini oggi si riparano: e quelli per la maggior parte son greci, che per l’autorità del cardinale Bessarione posson farlo sicuramente, e alcuni de gli italici, più vaghi di mercare onore e chiara fama ch’altra merce. Dunque ci ha bello e securo stare? Così stimo; nondimeno ancora è commosso da quelle opinioni ch’ebbero Protagora, Gorgia, Polo, Ippia, Prodico, Trasimaco, Dionisidoro e altri sofisti, quasi da venti tempestosi; né gli argomenti di Parmenide e di Zenone, di Simmia e di Cebete il lasciano ancora acquetare: e vedreste ancora qualche diversità fra l’opinione di Socrate e quella di Platone suo discepolo, che sotto il nome di Forestiero Ateniese diede in Creti le leggi a quelli di Magnesia: le quali non sono in tutto conformi a l’idee de la republica che ‘l suo maestro s’avea formata. Ma non minore agitazione v’è nata dapoi per le dispute d’Ammonio, di Plotino, di Porfirio, di Iamblico, di due Procli, di Olimpiadoro, di Tirio Massimo, di Macrobio, d’Apuleio, del Ficino e del Pico e d’altri nuovi e vecchi Platonici de l’una e de l’altra lingua, i quali stanno in perpetua contesa de l’origine del mondo, de la natura di demoni, de l’idee, de’ numeri, de l’uno e del bene, del passaggio de l’anime in vari corpi e del suo ritorno al padre, e de le republiche e de la beatitudine e de le virtù e de le scienze: e se non fosse stato il sottile avedimento di quel buon cardinale che poco inanzi abbiam nominato, forse il Trapezunzio l’avrebbe distrutto. Ché non ci ricovriamo in quell’altro sì grande e così nobile che s’edifica de la Concordia? Non è fornito ancora: nondimeno magnifica è la fama che di lui s’è divolgata. Ora dunque lascerem questo e quel di Platone e quel di Senocrate, del quale si vede a pena vestigio, e tutti gli altri a man destra, che son de’ Platonici; e prendiam questi a sinistra, che son de’ Peripatetici. Ma qual più vi piace, quel primo che fece Aristotele medesimo, o pur gli altri che sono opera di Plutarco, d’Alessandro, di Filopono, di Simplicio, d’Averroè e di Alberto e di s8 Tommaso, ch’onora Aquino più che gli altri non fecero Atena? Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli„Il Malpiglio secondo overo del fuggir la moltitudine di Torquato Tasso
“Al serenissimo signor Vincenzo Gonzaga, principe di Mantova e di Monferrato. Tanto Vostra Altezza è ricca d’ogni ornamento, quanto io povero d’ogni protezione: onde nel dedicarle questo dialogo non faccio a lei alcuno onore, ma da lei ricerco alcun favore. Egli è scritto secondo la dottrina de’ Platonici, la quale in molte cose è diversa da la verità cristiana: laonde non devrebbe alcuno maravigliarsi ch’io abbia posti vari mezzi fra gli uomini e Dio, come posero non sol molti filosofi, ma San Bernardo medesimo, che chiamò gli angeli mediatori, benché santo Agostino dica ch’uno sia il mediatore; né ch’io in qualche parte non riprenda i giudìci de l’astrologia, i quali sono da lui in tutto riprovati e condannati; o ch’io ne la creazione de l’uomo abbia voluto seguir l’opinione di Platone, ripresa da santo Ambrosio, avegnaché, non volendo trattarne come teologo, non istimava sconvenevole lo scriverne platonicamente, e tutti gli altri modi mi parevano più contrari a la vera teologia. Ma perché tutti i filosofi debbono ricercar la verità, quantunque non per la medesima strada, io, per questa ricercandone, da quella che è somma verità ho cercato di non molto allontanarmi. Vostra Altezza dunque il legga come opera d’uomo che scrive come filosofo e crede come cristiano, e come tale vorrei che fosse veduto da gli altri; ma se niun il leggesse, ella mi sarebbe in vece di molti: né io desidero che si divolghi per le mani de gli uomini se non perch’egli, a chiunque il leggerà, sia un testimonio de l’affezione ch’io le porto, e del desiderio c’ho di servirla; laonde, quando a Vostra Altezza non piacesse di farmi grazia di conservarlo, amo meglio di vederlo morto sotto il suo nome che sotto l’altrui vivere lungamente con isperanza d’eternità. Consideri nondimeno Vostra Altezza s’a la sua grandezza si conviene di lasciar perire ingiustamente o almeno rigorosamente chi sotto l’ombra del suo favore s’è riparato, e s’assicuri che ne la vita de la presente operetta conservarà viva perpetuamente la mia devozione. E senza più le bacio umilissimamente la mano. Di Vostra Altezza serenissima devotissimo servitore TORQUATO TASSO.„Il Messaggiero di Torquato Tasso