facezia
[fa-cè-zia]
In sintesi
spiritosaggine, arguzia, scherzo
s.f.
(pl. -zie)
Motto, detto arguto e piacevole: dire, raccontare facezie; una f. elegante
SIN. arguzia
‖ dim. faceziétta; facezìna; faceziòla
Citazioni
“infirmità come sano e nelle avversità come fortunatissimo, vivea con somma dignità ed estimazione appresso ognuno; di modo che, avvenga che così fusse del corpo infermo, militò con onorevolissime condicioni a servicio dei serenissimi re di Napoli Alfonso e Ferrando minore, appresso con papa Alessandro VI, coi signori Veneziani e Fiorentini. Essendo poi asceso al pontificato Iulio II, fu fatto Capitan della Chiesa, nel qual tempo, seguendo il suo consueto stile, sopra ogni altra cosa procurava che la casa sua fusse di nobilissimi e valorosi gentilomini piena, coi quali molto familiarmente viveva, godendosi della conversazione di quelli: nella qual cosa non era minor il piacer che esso ad altrui dava, che quello che d’altrui riceveva, per esser dottissimo nell’una e nell’altra lingua, ed aver insieme con l’affabilità e piacevolezza congiunta ancor la cognizione d’infinite cose; ed oltre a ciò tanto la grandezza dell’animo suo lo stimulava che, ancor che esso non potesse con la persona esercitar l’opere della cavalleria, come avea già fatto, pur si pigliava grandissimo piacer di vederle in altrui; e con le parole, or correggendo or laudando ciascuno secondo i meriti, chiaramente dimostrava quanto giudicio circa quelle avesse; onde nelle giostre, nei torniamenti, nel cavalcare, nel maneggiar tutte le sorti d’arme, medesimamente nelle feste, nei giochi, nelle musiche, in somma in tutti gli esercizi convenienti a nobili cavalieri, ognuno si sforzava di mostrarsi tale, che meritasse esser giudicato degno di così nobile commerzio. IV Erano adunque tutte l’ore del giorno divise in onorevoli e piacevoli esercizi così del corpo come dell’animo; ma perché il signor Duca continuamente, per la infirmità, dopo cena assai per tempo se n’andava a dormire, ognuno per ordinario dove era la signora duchessa Elisabetta Gonzaga a quell’ora si riduceva; dove ancor sempre si ritrovava la signora Emilia Pia, la qual per esser dotata di così vivo ingegno e giudicio, come sapete, pareva la maestra di tutti, e che ognuno da lei pigliasse senno e valore. Quivi adunque i soavi ragionamenti e l’oneste facezie s’udivano, e nel viso di ciascuno dipinta si vedeva una gioconda ilarità, talmente che quella casa certo dir si poteva il proprio albergo della allegria; né mai credo che in altro loco si gustasse quanta sia la dolcezza che da una amata e cara compagnia deriva, come quivi si fece un tempo; ché, lassando quanto onore fosse a 15 Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“XX Disse allor messer Cesare Gonzaga: “Parmi che abbiate rubato questo passo allo Evangelio, dove dice: “Quando sei invitato a nozze, va’ ed asséttati nell’infimo loco, acciò che, venendo colui che t’ha invitato, dica: Amico, ascendi più su; e così ti sarà onore alla presenzia dei convitati’.” Rise messer Federico e disse: “Troppo gran sacrilegio sarebbe rubare allo Evangelio; ma voi siete più dotto nella Sacra Scrittura ch’io non mi pensava;” poi suggiunse: “Vedete come a gran pericolo si mettano talor quelli che temerariamente inanzi ad un signore entrano in ragionamento, senza che altri li ricerchi; e spesso quel signore, per far loro scorno, non risponde e volge il capo ad un’altra mano, e se pur risponde loro, ognun vede che lo fa con fastidio. Per aver adunque favore dai signori, non è miglior via che meritargli; né bisogna che l’omo si confidi vedendo un altro che sia grato ad un principe per qualsivoglia cosa di dover, per imitarlo, esso ancor medesimamente venire a quel grado; perché ad ognun non si convien ogni cosa e trovarassi talor un omo, il qual da natura sarà tanto pronto alle facezie, che ciò che dirà porterà seco il riso e parerà che sia nato solamente per quello; e s’un altro che abbia manera di gravità, avvenga che sia di bonissimo ingegno, vorrà mettersi far il medesimo, sarà freddissimo e disgraziato, di sorte che farà stomaco a chi l’udirà e riuscirà a punto quell’asino, che ad imitazion del cane volea scherzar col patrone. Però bisogna che ognun conosca se stesso e le forze sue ed a quello s’accommodi, e consideri quali cose ha da imitare e quali no.” XXI “Prima che più avanti passate,” disse quivi Vincenzio Calmeta, “s’io ho ben inteso, parmi che dianzi abbiate detto che la miglior via per conseguir favori sia il meritargli; e che più presto dee il cortegiano aspettar che gli siano offerti, che prosuntuosamente ricercargli. Io dubito assai che questa regula sia poco al proposito e parmi che la esperienzia ci faccia molto ben chiari del contrario; perché oggidì pochissimi sono favoriti da’ signori, eccetto i prosuntuosi; e so che voi potete esser bon testimonio d’alcuni, che, ritrovandosi in poca grazia dei lor prìncipi, solamente con la prosunzione si son loro fatti grati; ma quelli che per modestia siano ascesi, io per me non cognosco ed a voi ancor dò spacio di pensarvi, e credo che pochi ne trovarete.„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“faccia di menzogna, come molti che non parlan mai se non di miracoli e voglion esser di tanta autorità, che ogni incredibil cosa a loro sia creduta. Altri nel principio d’una amicizia, per acquistar grazia col novo amico, il primo dì che gli parlano giurano non aver persona al mondo che più amino che lui, e che vorrebben voluntier morir per fargli servizio e tai cose for di ragione; e quando da lui si partono, fanno le viste di piangere e di non poter dir parola per dolore; così, per volere esser tenuti troppo amorevoli, si fanno estimar bugiardi e sciocchi adulatori. Ma troppo lungo e faticoso saria voler discorrer tutti i vicii che possono occorrere nel modo del conversare; però per quello ch’io desidero nel cortegiano basti dire, oltre alle cose già dette, che ‘l sia tale, che mai non gli manchin ragionamenti boni e commodati a quelli co’ quali parla, e sappia con una certa dolcezza recrear gli animi degli auditori e con motti piacevoli e facezie discretamente indurgli a festa e riso, di sorte che, senza venir mai a fastidio o pur a saziare, continuamente diletti. XLII Io penso che ormai la signora Emilia mi darà licenzia di tacere; la qual cosa s’ella mi negarà, io per le parole mie medesime sarò convinto non esser quel bon cortegiano di cui ho parlato; ché non solamente i boni ragionamenti, i quali né mo né forsi mai da me avete uditi, ma ancor questi mei, come voglia che si siano, in tutto mi mancono.” Allor disse ridendo il signor Prefetto: “Io non voglio che questa falsa opinion resti nell’animo d’alcun di noi, che voi non siate bonissimo cortegiano; ché certo il desiderio vostro di tacere più presto procede dal voler fuggir fatica, che da mancarvi ragionamenti. Però, acciò che non paia che in compagnia così degna, come è questa, e ragionamento tanto eccellente, si sia lassato a drieto parte alcuna, siate contento d’insegnarci come abbiamo ad usar le facezie delle quali avete or fatta menzione, e mostrarci l’arte che s’appartiene a tutta questa sorte di parlar piacevole per indurre riso e festa con gentil modo, perché in vero a me pare che importi assai e molto si convenga al cortegiano.” “Signor mio,” rispose allor messer Federico, “le facezie e i motti sono più presto dono e grazia di natura che d’arte; ma bene in questo si trovano alcune nazioni pronte più l’una che l’altra come i Toscani, che in vero sono acutissimi. Pare ancor che ai Spagnoli sia assai proprio il motteggiare. Trovansi„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“ben però molti, e di queste e d’ogni altra nazione, i quali per troppo loquacità passan talor i termini e diventano insulsi ed inetti, perché non han rispetto alla sorte delle persone con le quali parlano, al loco ove si trovano, al tempo, alla gravità ed alla modestia, che essi proprii mantenere devriano.” XLIII Allor il signor Prefetto rispose: “Voi negate che nelle facezie sia arte alcuna; e pur, dicendo mal di que’ che non servano in esse la modestia e gravità e non hanno rispetto al tempo ed alle persone con le quai parlano, parmi che dimostriate che ancor questo insegnar si possa ed abbia in sé qualche disciplina.” “Queste regule, Signor mio,” rispose messer Federico, “son tanto universali, che ad ogni cosa si confanno e giovano. Ma io ho detto nelle facezie non esser arte, perché di due sorti solamente parmi che se ne trovino: delle quai l’una s’estende nel ragionar lungo e continuato; come si vede di alcun’omini, che con tanto bona grazia e così piacevolmente narrano ed esprimono una cosa che sia loro intervenuta, o veduta o udita l’abbiano, che coigesti e con le parole la mettono inanzi agli occhi e quasi la fan toccar con mano; e questa forse, per non ci aver altro vocabulo, si poria chiamar “festività’, o vero “urbanità’. L’altra sorte di facezie è brevissima e consiste solamente nei detti pronti ed acuti, come spesso tra noi se n’odono, e de’ mordaci; né senza quel poco di puntura par che abbian grazia; e questi presso agli antichi ancor si nominavano “detti’; adesso alcuni le chiamano “arguzie’. Dico adunque che nel primo modo, che è quella festiva narrazione, non è bisogno arte alcuna perché la natura medesima crea e forma gli omini atti a narrare piacevolmente; e dà loro il volto, i gesti, la voce e le parole appropriate ad imitar ciò che vogliono. Nell’altro, delle arguzie, che po far l’arte? con ciò sia cosa che quel salso detto dee esser uscito ed aver dato in brocca, prima che paia che colui che lo dice v’abbia potuto pensare; altramente è freddo e non ha del bono. Però estimo che ‘l tutto sia opera dell’ingegno e della natura.” Riprese allor le parole messer Pietro Bembo e disse: “Il signor Prefetto non vi nega quello che voi dite, cioè che la natura e lo ingegno non abbiano le prime parti, massimamente circa la invenzione; ma certo è che nell’animo di ciascuno, sia pur l’omo di quanto bono ingegno po essere, nascono dei concetti boni e mali, e più e meno; ma il giudicio poi e l’arte i lima e corregge, e fa elezione dei boni e rifiuta i mali.„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli � Baldassar Castiglione Il libro del Cortegiano Libro secondo C i i Però, lasciando quello che s’appartiene allo ingegno, dechiarateci quello che consiste nell’arte; cioè delle facezie e dei motti che inducono a ridere, quai son convenienti al cortegiano e quai no, ed in qual tempo e modo si debbano usare; ché questo è quello che ‘l signor Prefetto v’addimanda.” XLIV Allor messer Federico, pur ridendo, disse: “Non è alcun qui di noi al qual io non ceda in ogni cosa, e massimamente nell’esser faceto; eccetto se forse le sciocchezze, che spesso fanno rider altrui più che i bei detti, non fossero esse ancora accettate per facezie.” E così, voltandosi al conte Ludovico ed a messer Bernardo Bibiena, disse: “Eccovi i maestri di questo, dai quali, s’io ho da parlare de’ detti giocosi, bisogna che prima impari ciò che m’abbia a dire.” Rispose il conte Ludovico: “A me pare che già cominciate ad usar quello di che dite non saper niente, cioè di voler far ridere questi signori, burlando messer Bernardo e me; perché ognun di lor sa che quello di che ci laudate, in voi è molto più eccellentemente. Però se siete faticato, meglio è dimandar grazia alla signora Duchessa, che faccia differire il resto del ragionamento a domani, che voler con inganni subterfugger la fatica.” Cominciava messer Federico a rispondere, ma la signora Emilia sùbito l’interruppe e disse: “Non è l’ordine che la disputa se ne vada in laude vostra; basta che tutti siete molto ben conosciuti. Ma perché ancor mi ricordo che voi, Conte, iersera mi deste imputazione ch’io non partiva egualmente le fatiche, sarà bene che messer Federico si riposi un poco; e ‘l carico del parlar delle facezie daremo a messer Bernardo Bibiena, perché non solamente nel ragionar continuo lo conoscemo facetissimo, ma avemo a memoria che di questa materia più volte ci ha promesso voler scrivere, e però possiam creder che già molto ben vi abbia pensato e per questo debba compiutamente satisfarci. Poi, parlato che si sia delle facezie, messer Federico seguirà in quello che dir gli avanza del cortegiano.” Allor messer Federico disse: “Signora, non so ciò che più mi avanzi; ma io, a guisa di viandante già stanco dalla fatica del lungo caminare a mezzo giorno, riposerommi nel ragionar di messer Bernardo al suon delle sue parole, come sotto qualche amenissimo ed ombroso albero al mormorar suave d’un vivo fonte; poi forse, un poco ristorato, potrò dir qualche altra cosa.” Rispose ridendo messer Bernardo: “S’io vi mostro il capo, vederete che ombra si po aspettar„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“dalle foglie del mio albero. Di sentire il mormorio di quel fonte vivo forse vi verrà fatto, perch’io fui già converso in un fonte, non d’alcuno degli antichi dèi, ma dal nostro fra Mariano, e da indi in qua mai non m’è mancata l’acqua.” Allor ognun cominciò a ridere, perché questa piacevolezza, di che messer Bernardo intendeva, essendo intervenuta in Roma alla presenzia di Galeotto cardinale di San Pietro ad Vincula, a tutti era notissima. XLV Cessato il riso, disse la signora Emilia: “Lasciate voi adesso il farci ridere con l’operar le facezie ed a noi insegnate come l’abbiamo ad usare e donde si cavino, e tutto quello che sopra questa materia voi conoscete. E per non perder più tempo cominciate omai.” “Dubito,” disse messer Bernardo, “che l’ora sia tarda; ed acciò che ‘l mio parlar di facezie non sia infaceto e fastidioso, forse bon sarà differirlo insino a dimani.” Quivi sùbito risposero molti non essere ancor, né a gran pezza, l’ora consueta di dar fine al ragionare. Allora rivoltandosi messer Bernardo alla signora Duchessa ed alla signora Emilia, “Io non voglio fuggir,” disse, “questa fatica; bench’io, come soglio maravigliarmi dell’audacia di color che osano cantar alla viola in presenzia del nostro Iacomo Sansecondo, così non devrei in presenzia d’auditori che molto meglio intendon quello che io ho a dire che io stesso, ragionar delle facezie. Pur, per non dar causa ad alcuno di questi signori di ricusar cosa che imposta loro sia, dirò quanto più brevemente mi sarà possibile ciò che mi occorre circa le cose che movono il riso; il qual tanto a noi è proprio, a che per descriver l’omo si suol dir che egli è un animal risibile; perché questo riso solamente negli omini si vede ed è quasi sempre testimonio d’una certa ilarità che dentro si sente nell’animo, il qual da natura è tirato al piacere ed appetisce il riposo e ‘l recrearsi; onde veggiamo molte cose dagli omini ritrovate per questo effetto, come le feste e tante varie sorti di spettaculi. E perché noi amiamo que’ che son causa di tal nostra recreazione, usavano i re antichi, i Romani, gli Ateniesi e molt’altri, per acquistar la benivolenzia dei populi e pascer gli occhi e gli animi della moltitudine, far magni teatri ed altri publici edifizi; ed ivi mostrar novi giochi, corsi di cavalli e di carrette, combattimenti, strani animali, comedie, tragedie e moresche; né da tal vista erano alieni i severi filosofi, che spesso e coi spettaculi di tal sorte e conviti rilassavano gli animi affaticati in quegli alti„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli � Baldassar Castiglione Il libro del Cortegiano Libro secondo C i i XLVIII Tornando adunque a dechiarir le sorti delle facezie appartenenti al proposito nostro, dico che, secondo me, di tre maniere se ne trovano, avvenga che messer Federico solamente di due abbia fatto menzione; cioè di quella urbana e piacevole narrazion continuata, che consiste nell’effetto d’una cosa; e della sùbita ed arguta prontezza, che consiste in un detto solo. Però noi ve ne giungeremo la terza sorte, che chiamano “burle’; nelle quali intervengon le narrazioni lunghe e i detti brevi ed ancor qualche operazione. Quelle prime adunque, che consistono nel parlar continuato, son di manera tale, quasi che l’omo racconti una novella. E per darvi uno esempio: “In quei proprii giorni che morì papa Alessandro Sesto e fu creato Pio Terzo, essendo in Roma e nel Palazzo messer Antonio Agnello, vostro mantuano, signora Duchessa, e ragionando a punto della morte dell’uno e creazion dell’altro, e di ciò facendo varii giudici con certi suoi amici, disse: “Signori, fin al tempo di Catullo cominciarono le porte a parlare senza lingua ed udir senza orecchie ed in tal modo scoprir gli adultèri; ora, se ben gli omini non sono di tanto valor com’erano in que’ tempi, forse che le porte, delle quai molte, almen qui in Roma, si fanno de’ marmi antichi, hanno la medesima virtù che aveano allora ed io per me credo che queste due ci saprian chiarir tutti i nostri dubbi, se noi da loro i volessimo sapere”. Allor quei gentilomini stettero assai sospesi ed aspettavano dove la cosa avesse a riuscire, quando messer Antonio, seguitando pur l’andar inanzi e ‘ndietro, alzò gli occhi, come all’improviso, ad una delle due porte della sala nella qual passeggiavano, e fermatosi un poco mostrò col dito a’ compagni la inscrizion di quella, che era il nome di papa Alessandro, nel fin del quale era un V ed un I, perché significasse, come sapete, Sesto; e disse: “Eccovi che questa porta dice: ALEXANDER PAPA VI, che vol significare, che è stato papa per la forza che egli ha usata e più di quella si è valuto che della ragione. Or veggiamo se da quest’altra poterno intender qualche cosa del novo pontefice”; e voltatosi, come per ventura, a quell’altra porta, mostrò la inscrizione d’un N, dui PP ed un V, che significava NICOLAUS PAPA QUINTUS, e sùbito disse: “Oimè, male nove; eccovi che questa dice: Nihil Papa Valet”’.„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli � Baldassar Castiglione Il libro del Cortegiano Libro secondo C i i XLIX Or vedete come questa sorte di facezie ha dello elegante e del bono, come si conviene ad uom di corte, o vero o finto che sia quello che si narra; perché in tal caso è licito fingere quanto all’uom piace, senza colpa; e dicendo la verità, adornarla con qualche bugietta, crescendo o diminuendo secondo ‘l bisogno. Ma la grazia perfetta e vera virtù di questo è il dimostrar tanto bene e senza fatica, così coi gesti come con le parole, quello che l’omo vole esprimere, che a quelli che odono paia vedersi innanzi agli occhi far le cose che si narrano. E tanta forza ha questo modo così espresso, che talor adorna e fa piacer sommamente una cosa, che in se stessa non sarà molto faceta né ingeniosa. E benché a queste narrazioni si ricerchino i gesti e quella efficacia che ha la voce viva, pur ancor in scritto qualche volta si conosce la lor virtù. Chi non ride quando nella ottava giornata delle sue Cento novelle narra Giovan Boccaccio come ben si sforzava di cantare un Chirie ed un Sanctus il prete di Varlungo quando sentia la Belcolore in chiesa? Piacevoli narrazioni sono ancora in quelle di Calandrino ed in molte altre. Della medesima sorte pare che sia il far ridere contrafacendo o imitando, come noi vogliam dire; nella qual cosa fin qui non ho veduto alcuno più eccellente di messer Roberto nostro da Bari.” L “Questa non saria poca laude,” disse messer Roberto, “se fosse vera, perch’io certo m’ingegnerei d’imitare più presto il ben che ‘l male, e s’io potessi assimigliarmi ad alcuni ch’io conosco, mi terrei per molto felice; ma dubito non saper imitare altro che le cose che fanno ridere, le quali voi dianzi avete detto che consistono in vicio.” Rispose messer Bernardo: “In vicio sì, ma che non sta male. E saper dovete che questa imitazione di che noi parliamo non po essere senza ingegno; perché, oltre alla manera d’accommodar le parole e i gesti, e mettere innanzi agli occhi degli auditori il volto e i costumi di colui di cui si parla, bisogna esser prudente ed aver molto rispetto al loco, al tempo ed alle persone con le quai si parla e non descendere alla buffoneria, né uscire de’ termini; le quai cose voi mirabilmente osservate, e però estimo che tutte le conosciate. Ché in vero ad un gentilomo non si converria fare i volti, piangere e ridere, far le voci, lottare da sé a sé, come fa Berto, vestirsi da contadino in presenzia d’ognuno, come„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“scaccata; la qual sùbito saltò la banda, lamentandosi forte, e parea che domandasse ragione al Re del torto che le era fatto. Il gentilomo poi la reinvitò a giocare; essa avendo alquanto ricusato con cenni; pur si pose a giocar di novo e, come l’altra volta avea fatto, così questa ancora lo ridusse a mal termine; in ultimo, vedendo la simia poter dar scaccomatto al gentilom, con una nova malizia volse assicurarsi di non esser più battuta; e chetamente, senza mostrar che fosse suo fatto, pose la man destra sotto ‘l cubito sinistro del gentilomo, il quale esso per delicatura riposava sopra un guancialetto di taffetà, e prestamente levatoglielo, in un medesimo tempo con la man sinistra gliel diede matto di pedina e con la destra si pose il guancialetto in capo, per farsi scudo alle percosse; poi fece un salto inanti al Re allegramente, quasi per testimonio della vittoria sua. Or vedete se questa simia era savia, avveduta e prudente.” Allora messer Cesare Gonzaga, “Questa è forza,” disse, “che tra l’altre simie fosse dottore, e di molta autorità; e penso che la Republica delle simie indiane la mandasse in Portogallo per acquistar riputazione in paese incognito.” Allora ognun rise e della bugia e della aggiunta fattagli per messer Cesare. LVII Così, seguitando il ragionamento, disse messer Bernardo: “Avete adunque inteso delle facezie che sono nell’effetto e parlar continuato, ciò che m’occorre; perciò ora è ben dire di quelle che consistono in un detto solo ed hanno quella pronta acutezza posta brevemente nella sentenzia o nella parola; e sì come in quella prima sorte di parlar festivo ha da fuggir, narrando ed imitando, di rassimigliarsi ai buffoni e parassiti ed a quelli che inducono altrui a ridere per le lor sciocchezze; così in questo breve devesi guardare il cortegiano di non parer maligno e velenoso, e dir motti ed arguzie solamente per far dispetto e dar nel core; perché tali omini spesso per diffetto della lingua meritamente hanno castigo in tutto ‘l corpo. LVIII Delle facezie adunque pronte, che stanno in un breve detto, quelle sono acutissime, che nascono dalla ambiguità, benché non sempre inducano a ridere, perché più presto sono laudate per ingeniose che per ridicule: come pochi dì sono disse il nostro messer Annibal Paleotto ad uno che gli Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“assai si ride, perché portan seco risposte contrarie a quello che l’omo aspetta d’udire, e naturalmente dilettaci in tai cose il nostro errore medesimo; dal quale quando ci trovamo ingannati di quello che aspettiamo, ridemo. LXIV Ma i modi del parlare e le figure che hanno grazia nei ragionamenti gravi e severi, quasi sempre ancor stanno ben nelle facezie e giochi. Vedete che le parole contraposte danno ornamento assai, quando una clausula contraria s’oppone all’altra. Il medesimo modo spesso è facetissimo. Come un Genoese, il quale era molto prodigo nello spendere, essendo ripreso da un usuraio avarissimo che gli disse: “E quando cessarai tu mai di gittar via le tue facultà?’, “Allor’, rispose, “che tu di robar quelle d’altri’. E perché, come già avemo detto, dai lochi donde si cavano facezie che mordono, dai medesimi spesso si possono cavar detti gravi che laudino, per l’uno e l’altro effetto è molto grazioso e gentil modo quando l’omo consente o conferma quello che dice colui che parla, ma lo interpreta altramente di quello che esso intende. Come a questi giorni, dicendo un prete di villa la messa ai suoi populani, dopo l’aver publicato le feste di quella settimana, cominciò in nome del populo la confession generale; e dicendo: “Io ho peccato in mal fare, in mal dire, in mal pensare’, e quel che séguita, facendo menzion de tutti i peccati mortali un compare, e molto domestico del prete, per burlarlo disse ai circunstanti: “Siate testimonii tutti di quello che per sua bocca confessa aver fatto perch’io intendo notificarlo al vescovo’. Questo medesimo modo usò Sallaza dalla Pedrada per onorar una signora, con la quale parlando, poi che l’ebbe laudata, oltre le virtuose condizioni, ancor di bellezza, ed essa rispostogli che non meritava tal laude, per esser già vecchia, le disse: “Signora, quello che di vecchio avete, non è altro che lo assimigliarvi agli angeli, che furono le prime e più antiche creature che mai formasse Dio’. LXV Molto serveno ancor così i detti giocosi per pungere, come i detti gravi per laudare, le metafore bene accomodate, e massimamente se son risposte e se colui che risponde persiste nella medesima metafora detta dall’altro. E di questo modo fu risposto a messer Palla de’ Strozzi, il quale, essendo forauscito di Fiorenza e mandandovi un suo per altri negozi, gli Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“gentilomo.” Disse il signor Gasparo: “Bisogneria ritrovare una sottil regola per cognoscerle, perché il più delle volte quelle che sono in apparenzia le migliori in effetto sono il contrario.” Allor messer Bernardo ridendo disse: “Se qui presente non fosse il signor Magnifico nostro, il quale in ogni loco è allegato per protettor delle donne, io pigliarei l’impresa di rispondervi; ma non voglio far ingiuria a lui.” Quivi la signora Emilia, pur ridendo, disse: “Le donne non hanno bisogno di diffensore alcuno contra accusatore di così poca autorità; però lasciate pur il signor Gasparo in questa perversa opinione, e nata più presto dal suo non aver mai trovato donna che l’abbia voluto vedere, che da mancamento alcuno delle donne; e seguitate voi il ragionamento delle facezie.” LXX Allora messer Bernardo, “Veramente, signora,” disse, “omai parmi aver detto de’ molti lochi onde cavar si possono motti arguti, i quali poi hanno tanto più grazia, quanto sono accompagnati da una bella narrazione. Pur ancor molt’altri si potrian dire; come quando, o per accrescere o per minuire, si dicon cose che eccedeno incredibilmente la verisimilitudine; e di questa sorte fu quella che disse Mario da Volterra d’un prelato, che si tenea tanto grand’omo, che quando egli entrava in san Pietro s’abbassava per non dare della testa nell’architravo della porta. Disse ancora il Magnifico nostro qui che Golpino suo servitore era tanto magro e secco, che una mattina, soffiando sott’il foco per accenderlo, era stato portato dal fumo su per lo camino insino alla cima; ed essendosi per sorte traversato ad una di quelle finestrette, avea aùto tanto di ventura, che non era volato via insieme con esso. Disse ancor messer Augustino Bevazzano che uno avaro, il quale non aveva voluto vendere il grano mentre che era caro, vedendo che poi s’era molto avvilito, per disperazione s’impiccò ad un trave della sua camera; ed avendo un servitor suo sentito il strepito, corse e vide il patron impiccato, e prestamente tagliò la fune e così liberollo dalla morte; da poi l’avaro, tornato in sé, volse che quel servitor gli pagasse la sua fune che tagliata gli avea. Di questa sorte pare ancor che sia quello che disse Lorenzo de’ Medici ad un buffon freddo: “Non mi faresti ridere, se mi solleticasti’. E medesimamente rispose ad un altro sciocco, il quale una mattina l’avea trovato in letto molto tardi, e gli rimproverava il dormir tanto, dicendogli:„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
““Io a quest’ora son stato in Mercato Novo e Vecchio, poi fuor della Porta a san Gallo, intorno alle mura a far esercizio ed ho fatto mill’altre cose; e voi ancor dormite?’ Disse allora Lorenzo: “Più vale quello che ho sognato in un’ora io, che quello che avete fatto in quattro voi’. LXXI È ancor bello, quando con una risposta l’omo riprende quello che par che riprendere non voglia. Come il marchese Federico di Mantua, padre della signora Duchessa nostra, essendo a tavola con molti gentilomini, un d’essi, dapoi che ebbe mangiato tutto un minestro, disse: “Signor Marchese, perdonatimi’; e così detto, cominciò a sorbire quel brodo che gli era avanzato. Allora il Marchese sùbito disse: “Domanda pur perdono ai porci, ché a me non fai tu ingiuria alcuna’. Disse ancora messer Nicolò Leonico per tassar un tiranno ch’avea falsamente fama di liberale: “Pensate quanta liberalità regna in costui, che non solamente dona la robba sua, ma ancor l’altrui’. LXXII Assai gentil modo di facezie è ancor quello che consiste in una certa dissimulazione, quando si dice una cosa e tacitamente se ne intende un’altra; non dico già di quella manera totalmente contraria, come se ad un nano si dicesse gigante, e ad un negro, bianco; o vero, ad un bruttissimo, bellissimo, perché son troppo manifeste contrarietà, benché queste ancor alcuna volta fanno ridere; ma quando con un parlar severo e grave giocando si dice piacevolmente quello che non s’ha in animo. Come dicendo un gentilomo una espressa bugia a messer Augustin Foglietta ed affermandola con efficacia, perché gli parea pur che esso assai difficilmente la credesse, disse in ultimo messer Augustino: “Gentilomo, se mai spero aver piacer da voi, fatemi tanta grazia che siate contento, ch’io non creda cosa che voi dicate’. Replicando pur costui, e con sacramento, esser la verità, in fine disse: “Poiché voi pur così volete, io lo crederò per amor vostro, perché in vero io farei ancor maggior cosa per voi’. Quasi di questa sorte disse don Giovanni di Cardona d’uno che si voleva partir di Roma: “Al parer mio costui pensa male; perché è tanto scelerato, che stando in Roma ancor col„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“tempo poria esser cardinale’. Di questa sorte è ancor quello che disse Alfonso Santa Croce; il qual, avendo avuto poco prima alcuni oltraggi dal Cardinale di Pavia, e passeggiando fuor di Bologna con alcuni gentilomini presso al loco dove si fa la giustizia, e vedendovi un omo poco prima impiccato, se gli rivoltò con un certo aspetto cogitabundo e disse tanto forte che ognun lo sentì: “Beato tu, che non hai che fare col Cardinale di Pavia!’ LXXIII E questa sorte di facezie che tiene dell’ironico pare molto conveniente ad omini grandi, perché è grave e salsa e possi usare nelle cose giocose ed ancor nelle severe. Però molti antichi, e dei più estimati, l’hanno usata, come Catone, Scipione Affricano minore; ma sopra tutti in questa dicesi esser stato eccellente Socrate filosofo, ed a’ nostri tempi il re Alfonso Primo d’Aragona; il quale essendo una mattina per mangiare, levossi molte preciose anella che nelli diti avea per non bagnarle nello lavar delle mani e così le diede a quello che prima gli occorse, quasi senza mirar chi fusse. Quel servitore pensò che ‘l re non avesse posto cura a cui date l’avesse e che, per i pensieri di maggior importanzia, facil cosa fosse che in tutto se lo scordasse; ed in questo più si confirmò, vedendo che ‘l re più non le ridomandava; e stando giorni e settimane e mesi senza sentirne mai parola, si pensò di certo esser sicuro. E così essendo vicino all’anno che questo gli era occorso, un’altra mattina, pur quando il re voleva mangiare, si rappresentò, e porse la mano per pigliar le anella; allora il re, accostatosegli all’orecchio, gli disse: “Bastinti le prime, ché queste saran bone per un altro’. Vedete come il motto è salso, ingenioso e grave e degno veramente della magnanimità d’uno Alessandro. LXXIV Simile a questa maniera che tende all’ironico è ancora un altro modo, quando con oneste parole si nomina una cosa viciosa. Come disse il Gran Capitano ad un suo gentilomo, il quale dopo la giornata della Cirignola, e quando le cose già erano in securo, gli venne incontro armato riccamente quanto dir si possa, come apparechiato di combattere; ed allor il Gran Capitano, rivolto a don Ugo di Cardona, disse: “Non abbiate ormai più paura di tormento di mare, ché santo Ermo è comparito’; e con quella onesta„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli � Baldassar Castiglione Il libro del Cortegiano Libro secondo C i i LXXXIII Potrei forsi ancor, signori, raccôrre molti altri lochi, donde si cavano motti ridiculi; come le cose dette con timidità, con maraviglia, con minacce for d’ordine, con troppo collera; oltra di questo, certi casi novi, che intervenuti inducono il riso; talor la taciturnità, con una certa maraviglia; talor il medesimo ridere senza proposito; ma a me pare ormai aver detto a bastanza, perché le facezie che consistono nelle parole credo che non escano di que’ termini di che noi avemo ragionato. Quelle poi che sono nell’effetto, avvenga che abbian infinite parti, pur si riducono a pochi capi; ma nell’una e nell’altra sorte la principal cosa è lo ingannar la opinione e rispondere altramente che quello che aspetta l’auditore; ed è forza, se la facezia ha d’aver grazia, sia condita di quello inganno, o dissimulare o beffare o riprendere o comparare, o qual altro modo voglia usar l’omo. E benché le facezie inducano tutte a ridere, fanno però ancor in questo ridere diversi effetti; perché alcune hanno in sé una certa eleganzia e piacevolezza modesta, altre pungono talor copertamente, talor publico, altre hanno del lascivetto, altre fanno ridere sùbito che s’odono, altre quanto più vi si pensa, altre col riso fanno ancor arrossire, altre inducono un poco d’ira; ma in tutti i modi s’ha da considerar la disposizion degli animi degli auditori, perché agli afflitti spesso i giochi danno maggior afflizione; e sono alcune infirmità che, quanto più vi si adopra medicina, tanto più si incrudiscono. Avendo adunque il cortegiano nel motteggiare e dir piacevolezze rispetto al tempo, alle persone, al grado suo e di non esser in ciò troppo frequente (ché in vero dà fastidio, tutto il giorno, in tutti i ragionamenti e senza proposito, star sempre su questo), potrà esser chiamato faceto; guardando ancor di non esser tanto acerbo e mordace, che si faccia conoscer per maligno, pungendo senza causa o ver con odio manifesto; o ver persone troppo potenti, che è imprudenzia; o ver troppo misere, che è crudeltà; o ver troppo scelerate, che è vanità; o ver dicendo cose che offendan quelli che esso non vorria offendere, che è ignoranzia; perché si trovano alcuni che si credono esser obligati a dir e punger senza rispetto ogni volta che possono, vada pur poi la cosa come vole. E tra questi tali son quelli, che per dire una parola argutamente, non guardan di macular l’onor d’una nobil donna; il che è malissima cosa e degna di gravissimo castigo, perché in questo caso le donne sono nel numero dei miseri, e però non meritano in ciò essere mordute, ché non hanno arme da diffendersi. Ma, oltre a questi rispetti, bisogna che colui che„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“ha da esser piacevole e faceto, sia formato d’una certa natura atta a tutte le sorti di piacevolezze ed a quelle accommodi li costumi, i gesti e ‘l volto; il quale quant’è più grave e severo e saldo, tanto più fa le cose che son dette parer salse ed argute. LXXXIV Ma voi, messer Federico, che pensaste di riposarvi sotto questo sfogliato albero e nei mei secchi ragionamenti, credo che ne siate pentito e vi paia esser entrato nell’ostaria di Montefiore; però ben sarà che, a guisa di pratico corrieri, per fuggir un tristo albergo, vi leviate un poco più per tempo che l’ordinario e seguitiate il camin vostro.” “Anzi,” rispose messer Federico, “a così bon albergo sono io venuto, che penso di starvi più che prima non aveva deliberato; però riposerommi pur ancor fin a tanto che voi diate fine a tutto ‘l ragionamento proposto, del quale avete lasciato una parte che al principio nominaste, che son le “burle’; e di ciò non è bono che questa compagnia sia defraudata da voi. Ma sì come circa le facezie ci avete insegnato molte belle cose e fattoci audaci nello usarle, per esempio di tanti singulari ingegni e grandi omini, e prìncipi e re e papi, credo medesimamente che nelle burle ci darete tanto ardimento, che pigliaremo segurtà di metterne in opera qualcuna ancor contra di voi.” Allor messer Bernardo ridendo, “Voi non sarete,” disse, “i primi; ma forse non vi verrà fatto, perché omai tante n’ho ricevute, che mi guardo da ogni cosa, come i cani che, scottati dall’acqua calda, hanno paura della fredda. Pur, poiché di questo ancor volete ch’io dica, penso potermene espedir con poche parole. LXXXV È parmi che la burla non sia altro che un inganno amichevole di cose che non offendano, o almen poco; e sì come nelle facezie il dir contra l’aspettazione, così nelle burle il far contra l’aspettazione induce il riso. E queste tanto più piacciono e sono laudate quanto più hanno dello ingenioso e modesto; perché chi vol burlar senza rispetto spesso offende e poi ne nascono disordini e gravi inimicizie. Ma i lochi donde cavar si posson le burle son quasi i medesimi delle facezie. Però, per non replicargli, dico solamente che di due sorti burle si trovano, ciascuna delle quali in più parti„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“formazioni che di lui s’erano avute, e confortarlo che venisse meco insino alla cancelleria, ché io quivi lo salvarei. Il frate, pauroso e tutto tremante, parea che non sapesse che si fare e dicea dubitar, se si dilungava da San Celso d’esser preso. Io pur facendogli bon animo, gli dissi tanto che mi montò di groppa, ed allor a me parve d’aver a pien compito il mio disegno; così sùbito cominciai a rimettere il cavallo per Banchi il qual andava saltellando e traendo calci. Imaginate or voi che bella vista facea un frate in groppa di una maschera, col volare del mantello e scuotere il capo innanzi e ‘ndietro che sempre parea che andasse per cadere. Con questo bel spettaculo cominciarono que’ signori a tirarci ova dalle finestre, poi tutti i banchieri e quante persone v’erano; di modo che non con maggior impeto cadde dal cielo mai la grandine, come da quelle finestre cadeano l’ova, le quali per la maggior parte sopra di me venivano; ed io per esser maschera non mi curava, e pareami che quelle risa fossero tutte per lo frate e non per me; e per questo più volte tornai innanzi e ‘ndietro per Banchi, sempre con quella furia alle spalle; benché il frate quasi piangendo mi pregava ch’io lo lassassi scendere e non facessi questa vergogna all’abito; poi, di nascosto, il ribaldo si facea dar ova ad alcuni staffieri posti quivi per questo effetto, e mostrando tenermi stretto per non cadere me le schiacciava nel petto, spesso in sul capo, e talor in su la fronte medesima; tanto ch’io era tutto consumato. In ultimo, quando ognuno era stanco e di ridere e di tirar ova, mi saltò di groppa, e callatosi indrieto lo scapularo mostrò una gran zazzera e disse: “Messer Bernardo, io son un famiglio di stalla di San Pietro ad Vincula e son quello che governa il vostro muletto’. Allor io non so qual maggiore avessi o dolore o ira o vergogna; pur, per men male, mi posi a fuggire verso casa e la mattina seguente non osava comparere; ma le risa di questa burla non solamente il dì seguente, ma quasi insino adesso son durate.” LXXXVIII E così essendosi per lo raccontarla alquanto rinovato il ridere, suggiunse messer Bernardo: burlare assai piacevole, onde medesimamente si cavano facezie, quando si mostra crede re che l’omo voglia fare una cosa, che in vero non vol fare. Come essendo io in sul ponte di Leone una sera dopo cena, e andando insieme con Cesare Beccadello scherzando, cominciammo l’un l’altro a pigliarsi alle braccia, come se lottare volessimo; e„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“questo perché allor per sorte parea che in su quel ponte non fusse persona; e stando così, sopragiunsero dui Franzesi i quali, vedendo questo nostro debatto, dimandarono che cosa era e fermaronsi per volerci spartire, con opinion che noi facessimo questione da dovero. Allor io tosto, “Aiutatemi’, dissi, “signori, ché questo povero gentilomo a certi tempi di luna ha mancamento di cervello; ed ecco che adesso si vorria pur gittar dal ponte nel fiume’. Allora quei dui corsero, e meco presero Cesare e tenevanlo strettissimo; ed esso, sempre dicendomi ch’io era pazzo, mettea più forza per svilupparsi loro dalle mani e costoro tanto più lo stringevano; di sorte che la brigata cominciò a vedere questo tumulto ed ognun corse; e quanto più il bon Cesare battea delle mani e piedi, ché già cominciava entrare in collera, tanto più gente sopragiungeva; e per la forza grande che esso metteva, estimavano fermamente che volesse saltar nel fiume, e per questo lo stringevan più; di modo che una gran brigata d’omini lo portarono di peso all’osteria, tutto scarmigliato e senza berretta, pallido dalla collera e dalla vergogna; ché non gli valse mai cosa che dicesse, tra perché quei Franzesi non lo intendevano, tra perché io ancor conducendogli all’osteria sempre andava dolendomi della disavventura del poveretto, che fosse così impazzito. LXXXIX Or, come avemo detto, delle burle si poria parlar largamente; ma basti il replicare che i lochi onde si cavano sono i medesimi delle facezie. Degli esempi poi n’avemo infiniti, ché ogni dì ne veggiamo; e tra gli altri, molti piacevoli ne sono nelle novelle del Boccaccio, come quelle che faceano Bruno e Buffalmacco al suo Calandrino ed a maestro Simone, e molte altre di donne, che veramente sono ingeniose e belle. Molti omini piacevoli di questa sorte ricordomi ancor aver conosciuti a’ mei dì, e tra gli altri in Padoa uno scolar siciliano, chiamato Ponzio, il qual vedendo una volta un contadino che aveva un paro di grossi caponi, fingendo volergli comperare fece mercato con esso e disse che andasse a casa seco, ché, oltre al prezzo, gli darebbe da far colazione; e così lo condusse in parte dove era un campanile, il quale è diviso dalla chiesa, tanto che andar vi si po d’intorno; e proprio ad una delle quattro facce del campanile rispondeva una stradetta piccola. Quivi Ponzio, avendo prima pensato ciò che far intendeva, disse al contadino: “Io ho giocato questi caponi con un mio compagno, il qual dice che questa„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“torre circunda ben quaranta piedi, ed io dico di no; e a punto allora quand’io ti trovai aveva comperato questo spago per misurarla; però, prima che andiamo a casa, voglio chiarirmi chi di noi abbia vinto’; e così dicendo trassesi dalla manica quel spago e diello da un capo in mano al contadino e disse: “Da’ qua’; e tolse i caponi e prese il spago dall’altro capo; e, come misurar volesse, cominciò a circundar la torre avendo prima fatto affermar il contadino, e tener il spago dalla parte che era opposta a quella faccia che rispondeva nella stradetta; alla quale come esso fu giunto, così ficcò un chiodo nel muro, a cui annodò il spago; e lasciatolo in tal modo, cheto cheto se n’andò per quella stradetta coi caponi. Il contadino per bon spazio stette fermo, aspettando pur che colui finisse di misurare; in ultimo, poi che più volte ebbe detto: “Che fate voi tanto?’, volse vedere, e trovò che quello che tenea lo spago non era Ponzio, ma era un chiodo fitto nel muro, il qual solo gli restò per pagamento dei caponi. Di questa sorte fece Ponzio infinite burle. Molti altri sono ancora stati omini piacevoli di tal manera, come il Gonella, il Meliolo in que’ tempi, ed ora il nostro frate Mariano e frate Serafino qui, e molti che tutti conoscete. Ed in vero questo modo è lodevole in omini che non facciano altra professione; ma le burle del cortegiano par che si debbano allontanar un poco più dalla scurilità. Deesi ancora guardar che le burle non passino alla barraria, come vedemo molti mali omini che vanno per lo mondo con diverse astuzie per guadagnar denari, fingendo or una cosa ed or un’altra; e che non siano anco troppo acerbe, e sopra tutto aver rispetto e riverenzia, così in questo come in tutte l’altre cose, alle donne, e massimamente dove intervenga offesa della onestà.” XC Allora il signor Gasparo, “Per certo,” disse, “messer Bernardo, voi sete pur troppo parziale a queste donne. E perché volete voi che più rispetto abbiano gli omini alle donne, che le donne agli omini? Non dee a noi forse esser tanto caro l’onor nostro, quanto ad esse il loro? A voi pare adunque che le donne debban pungere e con parole e con beffe gli omini in ogni cosa senza riservo alcuno, e gli omini se ne stiano muti e le ringrazino da vantaggio?” Rispose allor messer Bernardo: “Non dico io che le donne non debbano aver nelle facezie e nelle burle quei respetti agli omini che avemo già detti; dico ben che esse possono con più licenzia morder gli omini di 147 Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“poca onestà, che non possono gli omini mordere esse; e questo perché noi stessi avemo fatta una legge, che in noi non sia vicio né mancamento né infamia alcuna la vita dissoluta e nelle donne sia tanto estremo obbrobrio e vergogna, che quella di chi una volta si parla male, o falsa o vera che sia la calunnia che se le dà, sia per sempre vituperata. Però essendo il parlar dell’onestà delle donne tanto pericolosa cosa d’offenderle gravemente, dico che dovemo morderle in altro ed astenerci da questo; perché pungendo la facezia o la burla troppo acerbamente, esce del termine che già avemo detto convenirsi a gentilomo.” XCI Quivi, facendo un poco di pausa messer Bernardo, disse il signor Ottavian Fregoso ridendo: “Il signor Gaspar potrebbe rispondervi che questa legge, che voi allegate che noi stessi avemo fatta, non è forse così fuor di ragione come a voi pare; perché essendo le donne animali imperfettissimi e di poca o niuna dignità a rispetto degli omini, bisognava, poiché da sé non erano capaci di far atto alcun virtuoso, che con la vergogna e timor d’infamia si ponesse loro un freno, che quasi per forza in esse introducesse qualche bona qualità; e parve che più necessaria loro fosse la continenzia che alcuna altra, per aver certezza dei figlioli; onde è stato forza con tutti gl’ingegni ed arti e vie possibili far le donne continenti, e quasi conceder loro che in tutte l’altre cose siano di poco valore, e che sempre facciano il contrario di ciò che devriano. Però essendo lor licito far tutti gli altri errori senza biasimo, se noi le vorremo mordere di quei diffetti i quali, come avemo detto, tutti ad esse sono conceduti e però a loro non sono disconvenienti, né esse se ne curano, non moveremo mai il riso; perché già voi avete detto che ‘l riso si move con alcune cose che son disconvenienti. XCII Allor la signora Duchessa, “In questo modo,” disse, “signor Ottaviano, parlate delle donne; e poi vi dolete che esse non v’amino?” “Di questo non mi dolgo io,” rispose il signor Ottaviano, “anzi le ringrazio, poiché con lo amarmi non m’obligano ad amar loro; né parlo di mia opinione, ma dico che ‘l signor Gasparo potrebbe allegar queste ragioni.” Disse messer„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“Bernardo: “Gran guadagno in vero fariano le donne se potessero riconciliarsi con dui suoi tanto gran nemici, quanto siete voi e ‘l signor Gasparo.” “Io non son lor nemico,” rispose il signor Gasparo, “ma voi sete ben nemico degli omini; ché se pur volete che le donne non siano mordute circa questa onestà, dovreste mettere una legge ad esse ancor, che non mordessero gli omini in quello che a noi così è vergogna, come alle donne la incontinenzia. E perché non fu così conveniente ad Alonso Cariglio la risposta che diede alla signora Boadiglia della speranza che avea di campar la vita, perché essa lo pigliasse per marito, come a lei la proposta che ognun che lo conoscea pensava che ‘l Re lo avesse da far impiccare? E perché non fu così licito a Riciardo Minutoli gabbar la moglie di Filippello e farla venir a quel bagno, come a Beatrice far uscire del letto Egano suo marito e fargli dare delle bastonate da Anichino, poi che un gran pezzo con lui giacciuta si fu? E quell’altra che si legò lo spago al dito del piede e fece credere al marito proprio non esser dessa? Poiché voi dite che quelle burle di donne nel Giovan Boccaccio son così ingeniose e belle.” XCIII Allora messer Bernardo ridendo, “Signori,” disse, “essendo stato la parte mia solamente disputar delle facezie, io non intendo passar quel termine; e già penso aver detto perché a me non paia conveniente morder le donne né in detti né in fatti circa l’onestà, e ancor ad esse aver posto regula, che non pungan gli omini dove lor dole. Dico ben che delle burle e motti che voi, signor Gasparo, allegate, quello che disse Alonso alla signora Boadiglia, avvegna che tocchi un poco la onestà, non mi dispiace, perché è tirato assai da lontano ed è tanto occulto che si po intendere simplicemente, di modo che esso potea dissimularlo ed affermare non l’aver detto a quel fine. Un altro ne disse al parer mio disconveniente molto; e questo fu, che passando la Regina davanti la casa pur della signora Boadiglia, vide Alonso la porta tutta dipinta con carboni di quegli animali disonesti che si dipingono per l’osterie in tante forme; ed accostatosi alla Contessa di Castagneto, disse: “Eccovi, Signora, le teste delle fiere che ogni giorno ammazza la signora Boadiglia alla caccia’. Vedete che questo, avvegna che sia ingeniosa metafora, e ben tolta dai cacciatori, che hanno per gloria aver attaccate alle lor porte molte teste di fiere, pur è scurile e vergognoso; oltra che non fu„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“re.” Allora la signora Duchessa: “Per esser l’ora molto tarda voglio,” disse, “che differiamo il tutto a domani; tanto più perché mi par ben fatto pigliar il consiglio del signor Magnifico: cioè che, prima che si venga a questa disputa, così si formi una donna di palazzo con tutte le perfezioni, come hanno formato questi signori il perfetto cortegiano.” “Signora,” disse allor la signora Emilia, “Dio voglia che noi non ci abbattiamo a dar questa impresa a qualche congiurato col signor Gasparo, che ci formi una cortegiana che non sappia far altro che la cucina e filare.” Disse il Frigio: “Ben è questo il suo proprio officio.” Allor la signora Duchessa, “Io voglio,” disse, “confidarmi del signor Magnifico, il qual, per esser di quello ingegno e giudicio che è, son certa che imaginerà quella perfezion maggiore che desiderar si po in donna ed esprimeralla ancor ben con le parole; e così averemo che opporre alle false calunnie del signor Gasparo.” C “Signora mia,” rispose il Magnifico, “io non so come bon consiglio sia il vostro impormi impresa di tanta importanzia, ch’io in vero non mi vi sento sufficiente; né sono io come il Conte e messer Federico, i quali con la eloquenzia sua hanno formato un cortegiano che mai non fu né forse po essere. Pur, se a voi piace ch’io abbia questo carico, sia almen con quei patti che hanno avuti quest’altri signori: cioè che ognun possa dove gli parerà contradirmi, ch’io questo estimarò non contradizione, ma aiuto; e forse col correggere gli errori mei, scoprirassi quella perfezion della donna di palazzo, che si cerca.” “Io spero,” rispose la signora Duchessa, “che ‘l vostro ragionamento sarà tale che poco vi si potrà contradire. Sì che mettete pur l’animo a questo sol pensiero e formateci una tal donna, che questi nostri avversari si vergognino a dir ch’ella non sia pari di virtù al cortegiano; del quale ben sarà che messer Federico non ragioni più, ché pur troppo l’ha adornato, avendogli massimamente da esser dato paragone d’una donna.” “A me, Signora,” disse allor messer Federico, “ormai poco o niente avanza che dir sopra il cortegiano; e quello che pensato aveva, per le facezie di messer Bernardo m’è uscito di mente.” “Se così è,” disse la signora Duchessa, “dimani riducendoci insieme a bon’ora, aremo tempo di satisfar all’una cosa e l’altra.” E così detto si levarono tutti in piedi; e presa riverentemente licenzia dalla signora Duchessa, ciascun si fu alla stanzia sua.„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“abbia notizia di molte cose; e sappia parlando elegger quelle che sono a proposito della condizion di colui con cui parla e sia cauta in non dir talor non volendo parole che lo offendano. Si guardi, laudando se stessa indiscretamente, o vero con l’esser troppo prolissa, non gli generar fastidio. Non vada mescolando nei ragionamenti piacevoli e da ridere cose di gravità, né meno nei gravi facezie e burle. Non mostri inettamente di saper quello che non sa, ma con modestia cerchi d’onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s’è detto, l’affettazione in ogni cosa. In questo modo sarà ella ornata de boni costumi e gli esercizi del corpo convenienti a donna farà con suprema grazia e i ragionamenti soi saranno copiosi e pieni di prudenzia, onestà e piacevolezza; e così sarà essa non solamente amata, ma reverita da tutto ‘l mondo e forse degna d’esser agguagliata a questo gran cortegiano, così delle condizioni dell’animo come di quelle del corpo.” VII Avendo insin qui detto, il Magnifico si tacque e stette sopra di sé, quasi come avesse posto fine al suo ragionamento. Disse allor il signor Gasparo: “Voi avete veramente, signor Magnifico, molto adornata questa donna e fattola di eccellente condizione; nientedimeno parmi che vi siate tenuto assai al generale e nominato in lei alcune cose tanto grandi, che credo vi siate vergognato di chiarirle; e più presto le avete desiderate, a guisa di quelli che bramano talor cose impossibili e sopranaturali, che insegnate. Però vorrei che ci dichiariste un poco meglio quai siano gli esercizi del corpo convenienti a donna di palazzo, e di che modo ella debba intertenere, e quai sian queste molte cose di che voi dite che le si conviene aver notizia; e se la prudenzia, la magnanimità, la continenzia e quelle molte altre virtù che avete detto, intendete che abbiano ad aiutarla solamente circa il governo della casa, dei figlioli e della famiglia (il che però voi non volete che sia la sua prima professione), o veramente allo intertenere e far aggraziatamente questi esercizi del corpo; e per vostra fé guardate a non mettere queste povere virtù a così vile officio, che abbiano da vergognarsene.” Rise il Magnifico e disse: “Pur non potete far, signor Gasparo, che non mostriate mai animo verso le donne; ma in vero a me pareva aver detto assai, e massimamente presso a tali auditori; ché non penso già che sia alcun qui che non conosca che, circa gli esercizi del corpo, alla donna non si convien armeggiare, cavalcare, giocare alla palla, lottare e molte altre cose„Il Libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione
“Che ho io a farne, scritta che ella è? Piegala sottilmente e infilzala in un guanto, il quale a la disavveduta ti lasciarai cadere in parte ch’egli, che ha la gelosia nei peduli, impari averla nel polmone. Tosto che il trascurato ricoglie il guanto, sentirà il foglio scritto; e sentitolo, il carpirà; e guardandosi da ognuno, si tirarà in un cantoncino solo soletto: e cominciando a leggere, cominciarà a fare i visi arcigni; e venendo a le perle refiutate, soffiarà come uno aspido; e cadutagli la baldanza ne le calcagna, gli verrà l’anima ai denti: perché io mi credo che il demonio entri in colui che intoppa nel suo rivale; e non si potria dire quanta frenesia scompigli colui che, pur dianzi non pensando di aver compagno al tagliere, se ne vede scappare uno che gli mette in compromesso tutta la carne. E letta e riletta la facezia, la riporrà dove la trovò, cioè nel guanto: tu in quello starai spigolando ai fessi o al buco de la chiave; e se vedi il bello, rumoreggia con la fante e le dì: “Dove è il mio guanto, balorda? dov’è egli, sventata?”. Intanto verrà in campo lo accorato, e tu leva le strida e dì: “Sciocca furfanta, tu sarai cagione di qualche scandolo, e forse de la rovina mia: mi par vedere se capita a le sue mani, che non gli potrò ficcare in testa che io gliene voleva mostrare e dirgli chi è colui che mi manda cotali novelle. Dio sase perle o ducati hanno potere di farmi d’altri!”. Lo sciloppato, udendo„Dialogo di Pietro Aretino